Dott. Ciro D'Arpa
Di nuovo Lancet ed Il Corriere della Sera

Il 17 novembre 2007, in Gran Bretagna, la rivista "The Lancet" pubblica l'articolo "Pressure grows against homeopathy in the UK", al quale segue un commento di Ben Goldracre, giornalista del "Guardian".

Il 28 novembre 2007, in Italia, "Il Corriere della Sera" riprende la notizia in un articolo titolato: "E' provato: l'omeopatia è inutile".

Lo stesso giorno, sul sito della Società Italiana di Medicina Omeopatica (vedi su: www.omeomed.net), compare un comunicato a riguardo, a cura delle principali Società ed Associazioni di Medicina Omeopatica.

Dall'indomani, i medici e i pazienti si chiedono cosa stia avvenendo. Si apre un dibattito nazionale sull'argomento, al quale questo Sito partecipa riportando le domande più intriganti dei pazienti e le risposte mie e di altri esperti.

A futura memoria, riportiamo, di seguito, il diario degli interventi pubblicati su questo Sito dal 29 novembre al 27 dicembre 2007, quando, anche su questo avvenimento mediatico, è calato il sipario.

Già nel 2005 "The Lancet" aveva dato il via ad una ingiustificata campagna mediatica contro l'Omeopatia, ormai divenuta un classico della "disinformazione scientifica ufficiale" (vedi nota in questo Sito, nella sezione "Medicina e Consapevolezza", in "Attenzione alle informazioni sulle Medicine Non Convenzionali"). Anche in quell'occasione "Il Corriere della Sera" era stato molto attivo nella faccenda. "Lancet" ed il "Corriere" sono, formalmente, pubblicazioni indipendenti ma, evidentemente, possono a volte essere "reclutati" (come si dice in termini sociologici) per un fine specifico.

29 Novembre 2007
Ho letto l'articolo sul Corriere di ieri "E' provato: l'omeopatia è inutile". Che ne devo pensare? Al di fuori di ogni giro di parole, potete dirmi qualcosa di "convincente" a riguardo? (da un'email)

Penso anch'io che valga la pena dire qualcosa a riguardo, senza giri di parole.

Primo punto: Lancet. È una rivista con un passato di prestigio attualmente ben capace di produrre, come in questo caso, materiale di propaganda finalizzato a distorcere la verità scientifica per favorire il profitto di industrie multinazionali. L'articolo in questione (17 novembre 2007) non è in alcun modo una ricerca, ma un articolo di opinione che dà voce ad un ricercatore, pagato dall'industria farmaceutica, il quale riporta in modo inesatto ed opposto i dati della letteratura scientifica riguardanti l'Omeopatia. A riguardo, arriva a citare, come fosse una cosa seria, una pubblicazione precedentemente apparsa sulla stessa rivista (Lancet, 27 agosto 2005) che fu già all'epoca considerata uno scandalo scientifico poiché distorceva i dati per ottenere un effetto di propaganda contro l'Omeopatia (tale propaganda, anche allora, fu amplificata dall'editore della rivista stessa ed utilizzata ad arte dai media).

Secondo punto: Il Corriere della Sera. La propaganda viene pianificata appunto per essere diffusa dai media lì dove occorre. L'Italia è uno dei destinatari, il Corriere è un veicolo privilegiato (lo stesso avvenne per Lancet-2005 e per moltissimi fatti analoghi del passato). Nell'articolo in questione, i titoli sono propagandistici ed anche il linguaggio giornalistico appare acritico e fuori misura (dispiace che una giornalista seria come Margherita De Bac si sia prestata alla firma). Abituale è il ricorso ad interviste di falsi esperti sull'argomento, in questo caso rappresentati dalla Società Italiana di Farmacologia (che nulla conosce di Omeopatia), scelta nel solito novero dei detrattori classici della Medicina Omeopatica. Per la parte degli omeopati, la giornalista sceglie di interpellare una industria farmaceutica invece che una Società scientifica omeopatica. In questo campo, la tendenza resta sempre quella di ignorare i veri esperti. Infine, anche l'articolo del Corriere, come quello di Lancet, è esplicito nell'indicare l'obbiettivo finale di tutto questo scrivere: l'importante è non dare soldi all'Omeopatia. Certo, in Italia, è umoristico fare pressioni sociali per tagliare dei fondi che non ci sono mai stati! Ma il messaggio è preventivo: i politici non si sognino di sottrarre finanziamenti alle industrie farmaceutiche (o, come si dice nel gergo corrente: "alla ricerca scientifica").

Spero d'essere stato chiaro.

Ciro D'Arpa

Sono rimasto piuttosto perplesso e indignato circa l'articolo apparso nel "Corriere della sera" odierno (28 nov. 2007) concernente l'omeopatia e le polemiche suscitate dall'intervento pubblicato nella prestigiosa rivista "Lancet". È chiaro con ogni evidenza che, facendosi scudo di voce così autorevole, l'analisi giunga alle conclusioni prima di dimostrarle, avvalendosi di alcuni dati - come il presunto calo nell'utilizzo delle medicine complementari in Italia e i relativi tagli al settore in Gran Bretagna - più per bisogno di rafforzare le proprie tesi che non di entrare nel merito. Non solo non si fa cenno a una prospettiva di ampio respiro al livello europeo circa la medicina complementare e omeopatica, la qual cosa tramuterebbe di fatto diversi milioni di Italiani alla stregua di semplici sprovveduti o creduloni, ma l'attacco giunge con precisione tale, rispetto ai tempi, da non poter non ingenerare sospetto: proprio nel momento in cui, anche per non esser ultimi in Europa, il Parlamento sta vagliando provvedimenti atti a riconoscere la dignità delle medicine complementari, e non per "sostituirsi" alla medicina allopatica o alla chirurgia, ma per quel che a essa pertiene nella sua area specifica di intervento. Per questo giudico l'articolo di oggi, almeno nella forma in cui è stato divulgato, un messaggio improprio e iniquo: cosa accadrebbe se giudicassimo l'efficacia di alcuni prodotti mettendola in relazione solo coi fondi elargiti per la ricerca? Mi pare, in sintesi, una tesi frettolosa, dettata da chi ha interesse a non perdere quote di mercato: l'ultima contraddizione, in ordine di tempo, di un Paese come l'Italia in cui si va avanti col freno a mano tirato, e dove le intenzioni di aprirsi a forme di liberismo e di concorrenzialità che possano incrementare conoscenza e sviluppo inevitabilmente finiscono per scontrarsi con la miopia di un'ottica corporativistica sorretta da potentati economici.

Senatore Paolo Rossi (VareseNews Sanità)

30 Novembre 2007
...anche in questo caso, gli omeopati parlano di una "propaganda contro l'omeopatia". Ma Lancet è una importante rivista scientifica. A parte il discorso sull'omeopatia, vorrei che non si confondesse la scienza con la propaganda. (da un'email)

Il 27 agosto 2005, Lancet ospitava una metanalisi sull'Omeopatia che non possedeva i requisiti scientifici che la rivista solitamente impone agli Autori pubblicati. Essa era accompagnata da un editoriale che, inoltre, enfatizzava insolitamente il report titolando drammaticamente: "Morte dell'Omeopatia". La "notizia" della "morte dell'Omeopatia" decretata da Lancet fu subitamente e acriticamente accolta ed amplificata dai media.

Adesso, l'articolo del 2005 è stato tuttavia riesumato (come se si trattasse di una pubblicazione di reale dignità scientifica) e figura, insieme ad altre considerazioni non scientifiche, in un nuovo articolo + commentario che la stessa rivista pubblica sul numero del 17 novembre 2007: "Aumenta la pressione contro l'Omeopatia nel Regno Unito". Il fine di questa nuova pubblicazione non può dirsi "scientifico" ma, piuttosto, opinionistico e di pressione politica.

Fatti di questo genere sembrerebbero configurare un indebito utilizzo della scienza e delle riviste scientifiche per obbiettivi quali quelli di screditare una Medicina socialmente utile ma differente da quella industriale, difendere il monopolio del mercato farmacologico e, da un punto di vista teorico, addirittura contrastare la contaminazione della scienza normale da quella di frontiera, come avvenne nella franca censura di Nature riguardo i lavori di Benveniste alcuni anni fa. Si tratta di finalità opposte ed inconciliabili col significato stesso di scienza.

Popper ha introdotto nell'epistemologia moderna il concetto di demarcazione tra scienza e non scienza. Ma qual è la demarcazione tra scienza e propaganda? La scienza attuale è parte integrante di un complesso che sociologi chiamano "sistema industriale-scientifico" e che persegue fini di mercato. Se pertanto siamo costretti ad accettare come inevitabile che ciò che noi chiamiamo "scienza" subisca delle contaminazioni di carattere extrascientifico, bisogna sempre sorvegliare i limiti tollerabili di tale contaminazione per non vanificare la genuinità della scienza di cui disponiamo.

La scienza medica corrente ha nelle più importanti riviste medico-scientifiche dei luoghi privilegiati dove essa risulta capace di imporre alla classe medica internazionale delle evidenze-guida necessarie per la pratica clinica e, in particolare, per la prescrizione corrente dei farmaci ai pazienti. In questi preziosi luoghi di carta, le ricerche, le metanalisi, e persino le news e gli editoriali realizzano efficacemente lo scopo di orientare le opinioni prescrittive e di indirizzare il mercato. Dal punto di vista epistemologico e sociologico, queste riviste sono i commutatori della "scienza normale" in "prodotto". Per "scienza normale" si intende la scienza cheta, quella che non esplora più niente di veramente nuovo e, ben distante dalla vasta frontiera del conoscibile, elabora soprattutto le possibilità applicative del già noto, producendo l'utile immediato. La "scienza normale" serve al sistema scientifico-industriale per il suo sviluppo. Lo "sviluppo della scienza normale" in Medicina è, beninteso, quello a cui siamo debitori del progresso medico attuale con tutti i suoi chiari vantaggi e gli inevitabili svantaggi. Uno degli svantaggi è che tale scienza mai ci dirà qualcosa di utile riguardo Medicine che si occupano di altri aspetti della clinica ed utilizzano modalità scientifiche adeguate ai loro oggetti e, pertanto, non "normalizzabili".

L'esempio più classico è la Medicina Omeopatica. Le pubblicazioni scientifiche in questo campo sono certamente in aumento, ma trattano la materia dal punto di vista scientifico "normale", un modo "scientificamente corretto secondo la scienza normale" che non tocca gli aspetti rilevanti per i medici e per i pazienti, limitandosi a temi generali e cioè "se l'Omeopatia funziona" o, al massimo, "in che patologie ha funzionato". Le risposte a tali domande, complessivamente, sono favorevoli ad un "funzionamento dell'Omeopatia superiore al placebo" ed alla sua utilità possibile in varie malattie. Ma, per ogni medico competente nella materia e per i suoi pazienti, queste sono risposte scontate (cioè non servono a niente) e nulla portano alla vera ricerca in Omeopatia che, come per ogni Medicina, dovrebbe invece occuparsi di "come ottenere risultati ancora maggiori di quelli che già ottiene". Attualmente, le riviste scientifiche non ospitano argomenti di questo genere, poiché non rientrano nella "scienza normale". Abbiamo pertanto di fronte, in Medicina, un problema strutturale della scienza moderna: il suo identificarsi con la scienza normale, il suo riduttivismo.

La sociologia della scienza ci mostra l'ineluttabilità del riduttivismo scientifico e della sua etica. C'è tuttavia qualcosa che la maggior parte degli scienziati non è disposto ad accettare come inevitabile, ed è la propaganda. La propaganda non è scienza, è una forma di mistificazione. E non è inevitabile.

Si è molto discusso, negli ultimi anni, della delicatezza del ruolo che gioca nei sistemi sanitari moderni il sistema di divulgazione scientifica delle conoscenze disponibili tramite le riviste scientifiche e della sua vulnerabilità agli interessi commerciali delle industrie del farmaco.

Smith, a riguardo, titolava il suo articolo (British Journal, 2006): "Le riviste mediche sono un'estensione della sezione marketing delle industrie farmaceutiche?" Il fenomeno della propaganda, inoltre, non è limitato al contenuto delle riviste scientifiche, ma è collegato con l'azione amplificatrice dei media, con le pressioni politiche, etc.

Sono stati opportunamente suggeriti dei correttivi in merito alla "propaganda a favore" di certi farmaci, come, ad esempio, l'obbligo per gli Autori di dichiarare eventuali e possibili loro conflitti d'interesse. Questo è un problema ampiamente dibattuto poichè interessa ogni ricercatore. Esiste, tuttavia e parallelamente, un problema non dibattuto poiché interessa soltanto una minoranza periferica di scienziati, cioè la "propaganda contro" l'Omeopatia e, più in generale, contro le forme non convenzionali di Medicina. I ricercatori che si sono guadagnati visibilità sulle più importanti riviste scientifiche, di regola, non hanno interesse a prendere posizione su questo problema, a meno che non si configuri palesemente contrario alla dignità della scienza. Quando Lancet propagandò la sua "Morte dell'Omeopatia", uno scienziato americano ebbe il coraggio di affermare pubblicamente che è inammissibile declassare la scienza e le pubblicazioni scientifiche per fare la guerra all'Omeopatia. Voci come questa, rare ma possibili, mostrano quanto sia più prudente tenere la propaganda sotto la soglia della possibile indignazione pubblica. Lancet, adesso, ospita il suo nuovo "attacco contro l'Omeopatia" sotto forma di editoriali invece che di articolo scientifico come nel 2005 e, pertanto e verosimilmente, esso passerà inosservato dal mondo scientifico, ottenendo senza clamori i suoi risultati extrascientifici. Il fatto che le posizioni espresse vengano da ricercatori pagati da industrie farmaceutiche e l'obbiettivo dichiarato (e non certo scientifico) di recuperare fondi ulteriori alle ditte, sono circostanze che non diminuiscono la forza di propaganda. Ed è pertanto inevitabile che fatti di questo tipo tornino a presentarsi alla luce del sole e non ricevano censure pubbliche.

La propaganda, qualora non configuri inoltre precisi reati, non è perseguibile per legge. Nel 2000, una trasmissione "scientifica" italiana con finalità di propaganda fortemente contraria all'Omeopatia suscitò una vasta reazione popolare, un'interpellanza parlamentare ed il rinvio a giudizio dell'Autore, per diffamazione a danno dei medici omeopati. Il processo si concluse con la assoluzione del divulgatore scientifico incriminato perché "il fatto non costituisce reato". Peraltro, lo stesso Autore scriveva esplicitamente in un suo libro che il fine principale della divulgazione scientifica è appunto quello di rendere docili alle scelte politiche i cittadini. Pertanto, nel moderno contesto sanitario in cui la pressione economica è sempre più presente nel condizionare la scienza, sembrerebbe spettare infine ai ricercatori indipendenti, oltre che ai giornalisti, la sorveglianza attiva per tenere distinta la comunicazione scientifica dal fenomeno della propaganda. Se tuttavia, quando accadono fatti come quelli esposti, nessuno scienziato prende posizione, dovremmo ritenere che scienza e propaganda siano ormai indistinguibili? Che non esistono più ricercatori indipendenti? Che, se esistono, sono distratti?

Ciro D'Arpa

1 Dicembre 2007
Dai partecipanti al seminario "Biologia e biofisica delle alte diluizioni.", Verona.

I SOTTOSCRITTI, RICERCATORI, PROFESSORI UNIVERSITARI, MEDICI, VETERINARI E FARMACISTI protestano in modo fermo per quanto in atto viene divulgato in modo scorretto e senza minimo contraddittorio sull'Omeopatia. giudizi riportati, partono da considerazioni, vecchie, false e tendenziose. Il modo con cui sono state diffuse - prendendo a pretesto un articolo NON SCIENTIFICO di un giornale ("The Lancet") che si è già distinto in questo tipo di scorrettezza - offende la professionalità di quanti lavorano ogni giorno con milioni di pazienti e ricercano nella clinica e nei laboratori per perfezionare conoscenze scientifiche che hanno già, da molti anni, dimostrato che l'OMEOPATIA FUNZIONA E CURA.

Adami Teresa, Allegri Federico, Alquati Emanuela, Aragona Antonella, Assirelli Bruno, Battigelli Alessandro, Bellavite Paolo, Betti Lucietta, Bettio David, Bonzuan Antonella, Brambilla Loredana, Brizzi Maurizio, Brunoro Emanuela, Busticchi Benedetta, Calcagni Paola Grazia, Cannarozzo Maurizio, Cardella Claudio, Cardigno Paolo, Carminati Mario, Carosio Rosella, Castellini Maurizio, Cavallon Stefano, Chiavelli Goffredo, Chirizzi Luca, Chirumbolo Salvatore, Costini Gavina, D'Arpa Ciro, Dal Pozzo Monica, Dalla Frera Alessandra, Delaini Carlo, Elia Vittorio, Fara Francesca, Galasso Mariolina, Gasparoni Miriam, Gava Roberto, Giorgetti Giovanna, Guiotto Elisa, Iennaccaro Antonio, Impallomeni Maurizio, Lambertini Morena, Madaschi Fausto, Madau Miriam, Magnani Paolo, Magnetti Alberto, Marazzi Alessandro, Marcolin Cristina, Mariani Isabella, Marino Francesco Valerio, Mastrangelo Domenico, Mazzi Albarosa, Mazzoni Valeria, Mini Sara, Mondini Livia, Muscari Tomaioli Gennaro, Nencioni Silvia, Pampari Dino, Pansera Milena, Penzo Luisa, Peretti Fabio, Pichler Corista, Policreti Vincenzo, Pomposelli Raffaella, Preci Fabio, Ravaglia Mario, Ravagnani Chiara, Rey Louis, Rizzi Antonio, Romagnoli Giovanni, Ronchi Antonella, Sarcina Antonio, Scuderi Domenico, Semizzi Marialucia, Sermoneta Elio, Sforzini Claudio, Signorini Andrea, Spinelli Giuseppe, Targhetta Alessandro, Tarozzo Agnes, Tedeschi Michele, Terramocci Riccardo, Terranova Francesca R., Tomasi Monica, Tonello Flavio, Tosi Tiziano, Toso Valeria, Trebbi Grazia, Trionfi Maurizio, Turitto Donato , Valente Giuseppina, Vanzulli Patrizia, Velleda Rio, Venezia Pietro Luciano, Vianello Caterina, Vignali Giuseppe.

1 Dicembre 2007
Comunicato stampa di esperti (1.12.2007) - Omeopatia, la nostra esperienza

In relazione alla recente polemica sulla plausibilità e l'efficacia dell'omeopatia, innescata dalla rivista Lancet e ripresa da organi di stampa anglosassoni ed italiani, noi, ricercatori attivamente impegnati nel campo dello studio dei rimedi omeopatici e dei loro effetti in vivo e in vitro, riuniti a Verona per un convegno su questi temi, desideriamo comunicare la nostra esperienza.

In molti laboratori di ricerca, attivi presso università italiane e straniere, è stata raccolta negli ultimi decenni un'ampia serie di prove sperimentali a sostegno della reale efficacia di soluzioni altamente diluite e "dinamizzate" (soggette a un processo di succussione fisica). Quanto all'interpretazione del fenomeno, si deve riferirsi da una parte all'altissima sensibilità dei sistemi viventi, quando opportunamente e specificamente trattati da soluzioni ad azione specifica, dall'altra, in modo ipotetico ma non irrazionale né implausibile, alla permanenza di strutture dinamiche del solvente (acqua o soluzioni idroalcooliche), capaci comunque di influenzare l'attività cellulare e recettoriale.

Pertanto, equiparare il rimedio omeopatico ad un placebo rappresenta, allo stato delle attuali conoscenze, la ripetizione disinformata di un luogo comune, che rischia di fuorviare le decisioni strategiche e le scelte dei cittadini. È, piuttosto, necessario ed urgente un maggiore sostegno ai giovani ricercatori ed ai laboratori impegnati in questo nuovo settore, così promettente per i possibili benefici in campo medico ed agroambientale.

Prof. Paolo Bellavite, Università di Verona
Prof.ssa Lucietta Betti, Università di Bologna
Prof. Claudio Cardella, Università di Roma "La Sapienza"
Prof. Vittorio Elia, Università di Napoli "Federico II"
Prof. Louis Rey, Professor of Physical Chemical Biology, Strasbourg

13 Dicembre 2007
In quell'articolo soltanto falsità sull'omeopatia. Il direttore del Royal Hospital di Londra e medico della Regina risponde a "The Lancet".

Intervista al direttore del Royal Homeopathic Hospital, dott. Fisher.

Un botta-e-risposta secco rimbalza dalle pagine di una delle più prestigiose riviste scientifiche mondiali, la britannica The Lancet. Il tema è scottante: l'efficacia, o meno, dell'omeopatia. A lanciare l'attacco, riprendendo però dati già vecchi di un paio d'anni, Ben Goldacre, medico e, parole sue, "commentatore fisso di sociologia della medicina e di pseudoscienza". Goldacre scrive: "L'omeopatia è pari al placebo. Lo confermano cinque metanalisi (analisi statistiche complesse, che considerano più studi clinici insieme, n.d.r.)". Traduzione: se funziona, è grazie all'autosuggestione del paziente, che crede di assumere medicinali e butta giù invece acqua fresca e pillole inerti. E poi l'affondo: "Gli omeopati negano la medicina ufficiale fino a consigliare ai propri assistiti di non praticare la profilassi antimalarica (...) ad abbandonare la medicina ufficiale persino in presenza di malattie gravi (..), lasciandoli morire". Accuse pesanti. Soprattutto in una nazione come il Regno Unito, in cui l'omeopatia è praticata fin dal XIX secolo, Famiglia Reale in testa, e nella quale sono ben cinque gli Ospedali omeopatici, riconosciuti dal National Health Service (il Ssn britannico) fin dal 1948: due a Londra, uno a Bristol, uno a Liverpool, l'ultimo in Scozia, a Glasgow. Di fatto, in Gran Bretagna, nel 2007, si è registrato un certo calo di consensi sull'omeopatia (tendenza anche italiana), ma le proiezioni del mercato prevedono una crescita di circa 8 milioni di sterline entro il 2012 (da 38 a 46 milioni di sterline). Il contrattacco non è meno duro. Lo firma P. Fisher, omeopata della regina Elisabetta II, Direttore clinico del Royal London Homoeopathic Hospital (in sigla, RLHH) di Great Ormond Street, nel pieno centro della capitale inglese.

Allora, dottor Fisher, cosa ne pensa delle affermazioni di Goldacre? "Quella iniziale è semplicemente falsa. Goldacre parla di cinque metanalisi che avrebbero dato identici risultati sull'inefficacia dell'omeopatia e afferma che tutte sono state condotte in modo corretto. Non è vero: soltanto una può definirsi impeccabile. E, guarda caso, è anche l'unica a dimostrare che l'efficacia dell'omeopatia è ben superiore al placebo ed è la sola che Goldacre non cita espressamente, sebbene sia stata pubblicata dalla stessa rivista The Lancet. Se quello di Goldacre fosse un lavoro scientifico, il comitato di controllo della rivista avrebbe dovuto rifiutarlo. Qui non si tratta di dibattito scientifico, ma di inappropriatezza. Perciò chiediamo una rettifica".

Quanti pazienti avete all'ospedale omeopatico di Londra? "Sono 30 mila ogni anno che vengono visitati nelle nostre divisioni, la maggior parte inviati dai medici di famiglia". Gli inglesi hanno fiducia nella medicina omeopatica? "Secondo i sondaggi la fiducia è del 14,5 per cento dei britannici. Il nostro approccio al paziente è olistico: noi crediamo nella medicina integrata; siamo gli unici a organizzare corsi di aggiornamento per i medici di famiglia". Come è organizzato e quanti medici lavorano nel vostro ospedale? Sono 25 i medici, otto farmacisti, dieci infermiere e un gruppo di fisioterapeuti e terapeuti occupazionali: è il centro leader per la medicina complementare nel Regno Unito. Dal 2002 è un ospedale universitario. In collaborazione con l'Università, sviluppa programmi per l'applicazione ragionata di omeopatia, fitoterapia, aromaterapia, agopuntura, massaggio shiatsu, training autogeno, podoiatria e chiropratica in più settori: allergopatia (Medicina ambientale e nutrizionale), pediatria, medicina muscoloscheletrica, dermatologia, ginecologia (Clinica femminile), ma anche neurologia (Clinica dello stress e dei disturbi dell'umore) e oncologia (Programma di terapia complementare oncologica)".

Quindi voi non negate la medicina ufficiale, come ha affermato Goldacre? "È deontologicamente scorretto rinnegare la medicina occidentale. Invece, è necessario disegnare il profilo del singolo paziente, su cui plasmare l'insieme di interventi integrativi più adatti a migliorare la sua qualità di vita e a stemperare, per quanto possibile, l'impatto delle malattie e degli effetti collaterali di alcune terapie, come quelle anti-cancro".

Avete avuto tagli di fondi da parte del Servizio sanitario britannico? "Circa il 20 per cento".

Cecilia Ranza (Repubblica.it/salute)

13 Dicembre 2007
L'Omeopatia lanci la sfida scientifica.

Quando nei giorni passati è uscito il nuovo articolo di "The Lancet" contro l'omeopatia, non pochi hanno pensato che si trattava di un nuovo studio dell'autorevole rivista, che faceva ancora una volta le pulci a questa medicina non convenzionale. In realtà era un articolo scritto dallo stesso autore di un commento pubblicato sul quotidiano inglese "Guardian", che riprendeva e rilanciava alcune vecchie metanalisi, pubblicate su "Lancet", le cui conclusioni erano lapidarie: l'omeopatia è un placebo. Ma i dati riportati allora dalla rivista erano alquanto contraddittori. L'unica novità attuale - confermata dal direttore del Royal Hospital di Londra che intervistiamo - è che in Inghilterra sono stati tagliati i fondi pubblici. Per il resto, i dati riportati erano noti. Insomma, come si dice nel gergo, "panna montata".

Come previsto, il mondo omeopatico è insorto (sebbene larga parte dei mass-media abbia dato poco spazio alle reazioni). Anche a noi sono arrivati messaggi, comunicati, lettere, telefonate di protesta di medici, pazienti, associazioni, aziende. In alcuni casi reazioni "interessate", in altri indignazione. Non mi meraviglio di una protesta così estesa: in Italia milioni di persone usano terapie non convenzionali. Sentirsi dire che l'omeopatia è un placebo, si scontra con le esperienze dei pazienti che hanno avuto giovamento da tale medicina.

Non sono un ricercatore, né un medico. Ma un osservatore (della salute altrui) e a volte un malato che deve curarsi. Se l'opinione del paziente (che raramente ricorre ai prodotti omeopatici) può essere viziata dalla parzialità dell'esperienza individuale, da osservatore posso dire che - come abbiamo raccontato più volte su queste pagine - appare azzardato ridurre tutto a placebo. Sia perché esistono numerose ricerche sull'efficacia dell'omeopatia su varie patologie: influenze, tonsilliti, bronchiti, cefalee, allergie, dermatiti. A proposito di "pelle" riporto quanto disse anni fa a "Salute" il professor Nicolò Scuderi sui risultati ottenuti in un laboratorio della Sapienza di Roma, dove le cicatrici post-operatorie venivano curate con l'omeopatia: "...Da scienziato non ne capisco a pieno il meccanismo di riparazione, ma ne osservo i buoni risultati". In quel laboratorio sono state curate bene le "ferite" di centinaia e centinaia di persone.

Placebo? Ma andiamo. Se non si può negare tale effetto sugli esseri umani, sugli animali è quantomeno discutibile. Perfino l'Istituto superiore di Sanità condusse ricerche sugli animali dalle quali risultò la "non negatività" delle cure omeopatiche. Una struttura pubblica che finanziava una sperimentazione simile era una novità importante: infatti non si è più ripetuta.

Ma nell'articolo inglese che ha sollevato polemiche, si diceva di più: che gli omeopati sconsigliano le campagne profilattiche di salute pubblica. La Siomi che rappresenta circa duemila medici del "settore", ha smentito seccamente l'affermazione (visto che molti di essi lavorano in ambulatori pubblici). Eppure è vero che tra coloro che hanno abbracciato la medicina di Samuel Hahnemann, non mancano gli "unicisti", e quelli che proclamano la superiorità della omeopatia. Dando indirettamente ragione a chi vuole "stroncarli". E dimenticando, peraltro, che la medicina moderna è sempre più integrata tra cure convenzionali e non.

Abbiamo sempre criticato l'omeopatia "autoreferenziale". Ora la Siomi ammette l'errore di chi ha fatto credere che questa pratica è "più simile a una religione vitalistica che ad una scienza". Se questo è, allora l'omeopatia lanci la sfida scientifica in "campo aperto". Nell'interesse di milioni di pazienti.

Guglielmo Pepe (Repubblica - Supplemento Salute)

18 Dicembre 2007
Leggendo quello che ha pubblicato "La Repubblica"sull'ultimo inserto Salute e confrontandolo con quanto pubblicato dal "Corriere della Sera" la settimana prima, sembra che "Repubblica" sia favorevole all'Omeopatia ed il "Corriere" no. E' così? (email firmata)

Tutti capiamo bene che i media gestiscono un condizionamento di massa orientato ed orientabile in ragione di interessi economici portanti. I giornalisti subiscono costantemente una limitazione nella loro libertà di espressione. Come i medici, gli scienziati, i politici, ognuno di noi è "reclutabile" e "reclutato" (come si dice in gergo sociologico) più o meno coscientemente, più o meno in buona fede. Il singolo cittadino deve imparare sempre più a saper "leggere" una notizia nei giornali, in televisione e persino in un comunicato ANSA. Nel caso dell'Omeopatia, bisogna sempre ricordare che si tratta di una Medicina fuori dai grossi interessi macroeconomici scientifico-industriali che reggono il mercato, pertanto è difficile che l'informazione che a noi giunge a riguardo rispecchi davvero la natura delle cose, cioè dell'utilità pregnante del singolo rapporto curativo che avviene tra medico e paziente. A questo livello, almeno nel caso dell'Omeopatia, non c'è nessun conflitto economico o sociale, c'è un'alleanza terapeutica che ha il solo fine del giovamento del paziente. Il medico, e specificatamente un medico omeopata competente, non è "di parte", cioè preconcettualmente a favore o contrario all'Omeopatia. E' solo un medico che ha una competenza in più, che egli sa e può adoperare a beneficio del paziente. Quando una informazione mediatica rispecchi questo fatto elementare è, a mio parere "corretta", altrimenti è propaganda, contraria o a favore. Io spero che né i medici né i pazienti si facciano stressare troppo dalla presente e dalla futura ed inevitabile propaganda a cui tutti siamo sottoposti e ritrovino sempre la dimensione reale dei fatti.

Ciro D'Arpa

21 Dicembre 2007
Considerazioni sull'articolo di Samarasekera e delle dichiarazioni, a seguito, di SIMO, FIAMO, ECH, LMHI.
Contraddizioni del capitalismo, farmacocrazia e ignoranza: pressioni crescenti contro l'Omeopatia in UK.

Sono un sociologo e come tale, forse, esula dal mio campo di sapere giudicare la correttezza o meno delle ricerche scientifiche in merito all'efficacia di una terapia. Mi basta, tuttavia, utilizzare la mia capacità personale di intelligere per evitare l'utilizzo di una foglia di fico, che sia declinabile in RCT, odds ratio o in modalità metanalisi. Le scienze sono saperi funzionali strumentali che con un metodo cercano di verificare le ipotesi anticipate. E' chiaro che tutto origina da un processo di ideazione, dove molti tecnici-scienziati pensano di vedere soltanto "fatti". Saranno le flessioni derivate dai fini e dall'asse assiologico del soggetto, che rimane ideologico anche nella "programmazione scientifica", a determinare i risultati o le applicazioni del disegno. Oltre la ratio, vi è l'identità di cui essa è un attributo. Visto, allora, che sono un sociologo, mi riguarda asserire che un articolo su Lancet, e la rivista stessa, costituiscono un'espressione di un processo di rapporti socio - economici. Ogni contesto di interessi, considererà tale comunicazione nel proprio ordine di riferimenti. Dai medici ufficiali ai medici omeopati di distinte tendenze, dai naturopati alle associazioni di categoria, dalle aziende del settore ai pazienti, ogni portatore di interesse reagirà in funzione del rapporto benefici/danni e convinzione/ratio. Come sociologo, mi riguarda una lettura sociologica e mi concerne asserire ciò che è sociologicamente osservabile. Le cosiddette medicine alternative emergono nel contesto dell'economia di mercato e di una crisi del suo modello culturale, comprendente la sua medicina ufficiale sancita al suo Stato. La "conoscenza" di tale sistema, oggi, da quando sono crollate le mura teologiche vaticane, è più coerente, in quanto viene sancita dallo sponsor imprenditoriale, ed è, proprio per questo, conveniente, per un minimo di contegno, lasciar fuori delle considerazioni ogni allusione a carattere morale. L'uomo può essere un soggetto morale ma non il capitale né la tecnica, una volta che essi si emancipano e, quali attributo dell'uomo, diventano i creatori del funzionario. Vediamo, allora, se forse la storia e il mercato abbiamo qualcosa da dirci. Alla volta del secolo XXI, le cosiddette medicine alternative sono già emerse. Tra queste terapie l'omeopatia è una di quelle che maggiormente cresce e si espande. Da una parte, questo crea maggiore opportunità all'omeopatia per stabilirsi come viabile e preferibile relativamente alla medicina ortodossa, dall'altra l'esplosiva crescita porta con sé una sfida: la comunità omeopatica necessita di trovare strade percorribili per soddisfare la crescente domanda di medici capaci, se vuole mantenere e accrescere la sua attendibilità. Ma, storicamente parlando, in un contesto di circostanze similari, l'omeopatia aveva già preso la strada sbagliata. All'inizio del secolo scorso, infatti, la popolarità dell'omeopatia raggiunge un apice tale negli Stati Uniti che porta alla aperture di numerose scuole, alla crescita di un variegato numero di praticanti e di ospedali omeopatici. Tristemente, a questa crescita fa seguito un precipitoso declino appena poche decadi dopo, che porta quasi all'eradicazione dell'omeopatia. Sarebbe semplicistico attribuire questa caduta alla sola azione della fiorente industria farmaceutica allopatica. Le lobby dell'establishment, allora come adesso, avevano bisogno di articolare buone ragioni. Se noi non identifichiamo il complesso di condizioni che allora condusse a tale declino, rischiamo di misconoscerle, qualora esse si riproponessero nel nostro presente. Infatti, vi è un certo numero di parallelismi tra le condizioni dell'omeopatia all'inizio del secolo scorso e il contesto di uso e di interessi dell'omeopatia oggi. Se per uno storico o un sociologo questo potrebbe rappresentare un semplice interesse accademico, per i medici omeopati e per tutto il policromo mondo di interessi che gira attorno, ciò dovrebbe costituire una questione rilevante circa la durata del loro futuro. Le ragioni di quel tramonto sono varie. La radice del problema sembra sia stata nel fatto che la qualità venne scambiata per la quantità. Mai prima vi era stato un numero così ampio e variegato di praticanti dell'omeopatia con così scarsa conoscenza della scienza e dell'arte nel nome della quale si definivano praticanti. Le scuole e i collegi di omeopatia fallivano nel provvedere a competenti e ben formati omeopati, rigorosamente diplomati. La reputazione dell'omeopatia viene persa, quindi, con la diluizione della conoscenza. Verso gli anni 40, l'omeopatia era ridotta allo status di una pratica oscura e irrilevante, secondo l'esperto J. Winston, nella sua opera The Faces of Homopathy. Il credito per il rilancio della medicina omeopatica va fondamentalmente ad un piccolo gruppo che seppe vedere con chiarezza l'esigenza di qualificati standard nella formazione, di una metodologia didattica che trasformasse l'approccio del medico alla medicina con fondamenti radicati nel metodo scientifico e nella teoria del paradigma. Se dobbiamo imparare qualcosa dalla storia, è che la crescita è impossibile senza la formazione di un proporzionato numero di medici omeopatici esperti. Questa questione, determina la possibile durata della crescita e del riconoscimento reale della medicina omeopatica, e della sua capacita di abbassare la sofferenza patologica nel mondo, come sostiene C. Kurz, in Imagine Homeopathy. La formazione del medico omeopata esperto deve portare ad una profonda conoscenza della metodica, che vada oltre, obbligatoriamente, i training prescrittivi a carattere acuto e/o il semplice utilizzo dei repertori informatizzati. La formazione medica omeopatica deve condurre oltre ad una semplice buona interazione con il paziente, deve fare del medico un soggetto capace di scoprire e sperimentare l'omeopatia in ogni fenomeno della vita e dotato di forti competenze epistemologiche per affrontare le diverse epistemologie delle scienze e dell'uomo. Ed ancora, deve produrre un artista dell'arte del guarire. Arte e filosofia, come qualunque persona istruita sa, non è né opinione né espressione personale, ma tecnica ed epistéme. L'altra dimensione che bisogna considerare è quella del TEMPO NELL'ETÀ DELLA TECNICA. Oggi non viviamo più nella società del tempo libero. La nostra era è dominata dal tempo virtuale del WEB e dal flusso dei capitali che, in ogni secondo virtuale, devono trovare opportunità di reddito futuro più vantaggioso. E' in questo contesto che si colloca l'esercizio della medicina omeopatica, delle richieste del singolo paziente nella visita privata e degli enti locali convenzionati. E' in quest'età della tecnica e dei suoi saperi frammentati e del suo tempo virtuale che si colloca la questione della formazione del medico omeopata. Chi ha oggi il tempo di insegnare e formare quel medico ideale? Chi ha attualmente il tempo di imparare e consacrarsi allo studio ed esercizio di un'omeopatia con scienza e coscienza? Esistono le condizioni perché un soggetto possa diventare "paziente" di una medicina omeopatica praticata con scienza e coscienza? Esistono le condizioni per fare in modo che un tale tempo e circostanze necessarie possano essere creati? Possono i pochi medici omeopati formati in Europa dopo il 68, occupati nelle odierne circostanze frenetiche dell'esercizio della propria profes-sione affrontare da soli una tale sfida? Queste domande, penso, gravano sulla dimensione esistenziale dei medici omeopati di una generazione che sembra votata al tramonto e che con convinzione scientifica e politica intuisce e avversa il pedaggio da pagare per venire a compromessi con l'ufficialità. Penso che in questi giorni questa comunità si ponga domande laceranti relativamente alle proprie responsabilità e prospettive. Forse a qualcuno verrà il dubbio di aver barattato il patrimonio dell'attendibilità della medicina omeopatica, guadagnata nell'esercizio del suo paradigma, che si esplica nell'utilizzo del suo strumento terapeutico, il rimedio prescritto secondo la legge dell'analogia, per l'accreditamento della medicina omeopatica nei sistemi sanitari nazionali e comunitari. Non è necessario essere medico, chimico, biologo, né addetto agli enti della ricerca ufficiale per rendersi conto del conflitto di interessi espresso nella polemica: - l'appello agli studi peer-reviewed che dimostrerebbero l'efficacia dell'omeopatia in determinate condizioni cliniche, - la richiesta di fondi alla ricerca per giungere a conclusioni corrette sull'efficacia clinica della cura omeopatica, - il riferimento a studi che dimostrerebbero che i rimedi omeopatici possano essere efficaci nel trattamento del dolore muscolare, della diarrea infantile, delle riniti allergiche stagionali e l'ileo post-chirurgico. Qualunque persona in grado di ragionare riconosce l'imbarazzo. E' chiaro a tutti che solitamente nella medicina ufficiale la sperimentazione di un farmaco riconduce alla verifica di una possibile azione di un "principio attivo" o "farmaco" in dose molecolare su un organo, un apparato o una funzione. Nella medicina omeopatica classica la sperimentazione pura si attua somministrando all'uomo sano una diluizione all'ultramolecolare di un "principio attivo" per ricavare un quadro di sintomi relativi ad una totalità dinamica psicofisica. Risulta chiaro che vi è una frattura tra una medicina omeopatica classica, volta nella misura dei limiti alla "guarigione" possibile di una vita o totalità e quella "omeopatia farmacologica", volta all'eliminazione dei sintomi in quanto la loro scomparsa indicherebbe la restituzione della salute, e forse volta piuttosto ad inserirsi nel contesto della medicina ufficiale come un cosiddetto trattamento complementare. Leggendo l'Organon e le Malattie Croniche di Hahnemann, le Lezioni di Kent, e i nuovi classici come un Jeremy Sherr o un Rajan Shankaran, anche un sociologo può realizzare che qualcosa non torna nelle dichiarazioni della Società Italiana Medicina Omeopatica, dell'ECH, della LMHI e della F.I.A.M.O. e che le accuse di Udani Samarasekera, - circa il potenziale pericolo rappresentato dai "lay homoeopaths", - circa i "false claims" riguardo alla prevenzione della malaria - e forse anche di altro - evidenziato attraverso "undercover investigation" nei reclame di "farmacie omeopatiche" via Internet, - circa la fuga dal razionalismo - e circa le nuove modalità di immissione al banco del cosiddetto prodotto omeopatico con indicazioni di uso, sono certamente imputazioni che vanno al di là da essere difese dimostrando con metanalisi quando lo stesso movimento dell'Evidence Based Medicine oggi, dopo la propria auto-critica, metterebbe in dubbio, la possibile efficacia della medicina omeopatica, ancora in attesa di giungere a "conclusioni correte sulla efficacia clinica della cura omeopatica". Permettetemi per ultimo di segnalarvi che la malattia non è riducibile a fatto privato. La totalità chiamata "individuo" dagli stessi omeopati classici è incompleta se non si comprende la rilevanza del dinamismo in cui egli vive: la società. Una tale interazione non è riducibile a RCT né a odds ratio. Da questa prospettiva non vi sono metanalisi che vengano in soccorso né della "quackery" né dell'operato dell'omeopatia classica. Di una tale soggettività non può diventare responsabile un semplice prescrittore, né il medico ridotto ad eseguire protocolli standardizzati, al fine di giustificare costo-benefici di un intervento nel contesto delle spese pubbliche e degli sponsor, dettati da organismi, come il NICE, nel caso in questione nel NHS di UK. Di una tale soggettività può farsi responsabile soltanto un medico devoto alla "guarigione". Parlare di "guarigione possibile" non vuol dire fuga dal razionalismo né smettere di fare il medico perché, così parlando, si infrangono i dettami legali della medicina "scientifica". Parlare ancora di una "restituzione ad integrum", significa la scelta di chi capisce che la vita di un uomo non è riducibile al Letto di Procuste del razionale biomedico, a meno di convenire oggi che sia la scienza a creare l'uomo e non l'uomo a ideare la scienza e i suoi fini. Cosa avrebbe il NICE da dire ai governi Cinese e Indiano che non adoperano i suoi protocolli? Forse è anche ora di esportare la nostra medicina "libera da ogni pregiudizio"? Solo nell'aldilà dell'umano tutto è "quantificabile", "misurabile", sia per riduzione o astrazione. Per una libera scelta delle identità e delle cure in cui ogni identità si riconosce.

Rinaldo Octavio Vargas, sociologo. Lettera alla Società Italiana di Medicina Omeopatica (anche pubblicata in BIO Bollettino Informativo di Omeopatia - Anno XX - n° 1.12.2007 / Editrice ALMA s.r.l., viale Gramsci, 16 - 80122 Napoli ).

Caro dr. Vargas,

ho letto oggi e riletto il tuo pregevole scritto che hai avuto la gentilezza di inviarci. Condivido pacificamente le considerazioni di fondo e quelle storiche (1).

Se ben capisco, tu vuoi enfatizzare l'importanza, da parte di una crescente comunità esperta di medici omeopati, di conoscere-sviluppare-adoperare il proprio paradigma per i suoi fini di guarigione del singolo caso (che sono ovviamente differenti da quelli della Biomedicina). Beh, direi, questo vien fatto correntemente dalle Scuole indipendenti, anche italiane, pur nella difficoltà di operare in un modo artigianale-autofinanziato, nei tempi del nostro tempo e in riferimento ad un pubblico di medici-utenti allevati nel plagio della medicina accademica corrente. I (pochi) medici omeopati formati sono, in genere, clinici svegli e capaci nel loro Paradigma. Posso assicurarti che questi medici non hanno barattato niente, alcuni di loro si difendono solo un po', quando occorre, nel linguaggio paradigmatico corrente per porre argini ad un sistema socio-economico che vorrebbe, semplicemente, cancellarli. Credi che io, ad esempio, privatamente o da presidente di una società scientifica di medici omeopati, possa: a) ignorare completamente gli attacchi mediatici specifici / b) ricevere ascolto sostenendo a Lancet, al Corriere, al Consiglio Superiore di Sanità, ai politici, etc. dicendo chiaramente che il paradigma biomedico è un riduzionismo implausibile nella cura degli esseri umani? Così, pubblicamente, noi omeopati, siamo tutti buoni medici abilitati, capaci di dispute scientifiche "normali" , rispondiamo agli attacchi e continuiamo a curare i pazienti; uguali ai medici accademici per tutto, tranne che nella mente e nel cuore. Caso mai sei tu, come sociologo e come paziente, che potresti evidenziare il massacro che "il letto di Procuste del razionale biomedico" compie ogni giorno sulla pelle di tutti. A noi spetta invece, inevitabilmente ed ogni giorno, di continuare a curare, fra le altre, anche e soprattutto quelle ferite.

Scusa se, con te che non conosco, mi sono concesso d'essere eccessivamente diretto. Forse, anche, c'è qualche intenzione nel tuo scritto che non ho afferrato a pieno. A tua disposizione, se credi, per continuare il discorso.

Molto cordialmente,

Ciro D'Arpa, Presidente della Società Italiana di Medicina Omeopatica

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(1). Per quanto, in riferimento alla pratica della Medicina Omeopatica negli Stati Uniti alla fine degli anni '20, mi sembra importante aggiungere che, per ottenere il risultato dell'eradicazione della Omeopatia, si procedette allora anche e soprattutto con una legge (voluta dagli industriali) che imponeva precisi "standard scientifici" alla formazione medica per potere accedere all'abilitazione statale. La qualcosa rese praticamente inutile ai fini dell'abilitazione professionale l'insegnamento corrente di allora dell'Omeopatia. In quegli anni si concretizzò il "sistema industriale-scientifico", come lo descrive il tuo apprezzatissimo collega Latour.

27 Dicembre 2007
Il "Guardian", lo stesso giornale inglese che ha pubblicato, il 16 novembre scorso, l'articolo di Goldacre "contro l'Omeopatia" inducendo la presente polemica, il mese successivo (19 dicembre 2007) ha ospitato l'intervento a riguardo (sotto riportato) di Rustum Roy, professore dello Stato Solido, professore-ricercatore di Materiali all'Università dell'Arizona, fondatore e direttore del Materials Research Laboratoty. Uno degli scienziati viventi più autorevoli del mondo sull'argomento delle soluzioni acquose ultradiluite.

Non si deve tollerare la "omeofobia".

"L'omeopatia non dev'esser presentata come una frode: coloro che studiano l'acqua sanno che le critiche sono sbagliate" afferma Rustum Roy.

Ben Goldacre se la prende con la pratica dell'Omeopatia (novembre 2007). Voglio precisare che io non ho mai studiato o preso posizione a favore o contro l'effettività clinica dell'Omeopatia. Sono, invece, un chimico dei materiali che ha scritto alcuni dei lavori più citati nella scienza dei materiali, sulle soluzioni acquose. Avendo recentemente studiato le proprietà biologiche straordinarie delle soluzioni acquose ultradiluite (acqua con una parte per milione di particelle solide) e scritto una lunga revisione sulla struttura dell'acqua, ho incidentalmente scoperto una nuova malattia sociale la "omeofobia", si tratta di una reazione di paura (soprattutto fra gli scienziati) alla parola "Omeopatia", la cui virulenza è esemplificata da Goldacre. La più grande "bufala" degli "omeofobi" è il concetto che una soluzione dove il soluto è estremamente diluito (oltre il numero di Avogadro) non può assolutamente - essi credono- essere diverso dal solvente originale. Da cui deriverebbe che l'Omeopatia è una frode. Questa è stata la maggiore credenza anti-omeopatia per più di 100 anni. Ma lasciamo la parola agli scienziati specialisti nelle proprietà dell'acqua. Il prof. Martin Chaplin della South Bank University di Londra, principale esperto di struttura molecolare dell'acqua, afferma: "troppo spesso l'argomento finale usato contro il concetto della memoria dell'acqua è semplicemente "io non ci credo". E' duro osservare una tale retorica antiscientifica da parte di scienziati, per altri versi sensibili, che mantengono una ristretta veduta del soggetto, non esaminano o considerano l'intero campo di evidenza e riflettono malamente su di esso". In realtà, coloro che hanno studiato l'acqua liquida sono d'accordo che le critiche siano totalmente inesatte. Una prova? Il diamante è il materiale più duro del pineta; la grafite uno dei più morbidi. Essi sono assolutamente identici in quanto a composizione e possono fra loro interconvertirsi in un millisecondo senza alcun cambio di composizione. Il prof. Eugene Stanley dell'Università di Boston, principale esperto della fisica dell'acqua, ha catalogato 64 proprietà di cambiamenti altamente anomali nell'acqua pura. In accordo con la prima legge delle scienze materiali, ciò vuol dire che deve esserci lo stesso grande numero di strutture differenti nell'acqua liquida, la qualcosa egli chiama "polimorfismo" dell'acqua. Quest'anno, il prof. Chaplin, sulla rivista "Homeopaty", discute in dettaglio il modo in cui l'acqua può trattenere una "memoria". Ma la maggiore credenza di Goldacre è il ruolo dell'effetto placebo. D'accordo, sicuramente esso è presente in ogni intervento omeopatico; ma è molto più presente nei medicinali ortodossi, perché questi sono largamente raccomandati da campagne d'informazione scientifica che costano miliardi di dollari. Goldacre fa notare accuratamente l'alta percentuale di risultati positivi confrontati con quelli negativi in molti studi di Omeopatia. Ma ci sono discrepanze enormi anche in ogni lavoro controllato e randomizzato sui medicinali ortodossi. Goldacre vorrebbe seriamente suggerire che un lavoro di Omeopatia con un risultato positivo dovrebbe meglio essere pubblicato sui principali giornali a grande diffusione?

Rustum Roy (rroy@psu.edu) ("Guardian", 19.12.2007)

Dott. Ciro D'Arpa - Studio medico - Piazza Alberto Gentili, 12 - 90135 - Palermo - Tel./Fax 091 625 48 10
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