Da: "Notizie sulla Omiopatia"
del dottor Francesco Romani da Napoli; dagli ANNALI DI MEDICINA
OMIOPATICA PER LA SICILIA, Palermo, vol. 8 fasc. I°, 1845.
La omiopatia non fu introdotta in Sicilia da un medico, ma da
un militare: strana cosa ma vera.
Il maresciallo Luigi Carafa dei duchi di Noia, udendo continuo
parlare i medici omeopatici di omiopatia, e leggendo per nobilissima
curiosità l'Organo e la Materia medicinale dell'Anemanno,
ne apprese i fondamentali principii filosofici, e non poche
cognizioni istoriche alla pratica relative, e si provvide di
tutti i medicamenti nostri per uso suo, e della famiglia sua.
Nel 1832 il re signor nostro lo nominò comandante di
piazza in Messina, dove a poco a poco guadagnò alla omiopatia
i dottori Baratta e Scuderi, valenti medici allopatici, dando
a leggere ad essi i libri dell'Anemanno, e facendo loro vedere
qualche bella cura omiopatica per lui fatta per sentimento magnanimo
di umanità.
Molti uffiziali dell'esercito diventarono omiopatisti si, come
lo diventarono la duchessa S. Giorgio, il barone Calcagno, il
marchese Calcagno, nostri nobilissimi amici, ed altri.
In poco tempo rimbombò per la Sicilia tutta il nome dell'Anemanno
e la sua dottrina.
Giunse nell'anno appresso da Palermo in Messina il giovane Benedetto
Mure che gravemente infermo domandava i soccorsi della omiopatia.
Il giovane sputava enormi quantità di sangue.
Il maresciallo Carafa ebbe la felicità di guarirlo con
poche dosi di aconito e di arnica.
Questa cura fece profondo senso a moltissimi medici della
Trinacria terra.
Il Mure, figlio di un ricco negoziante di seta di Leone,
assisteva la ricca madre che aveva un magazzino di mode
in Palermo.
Egli da Messina passò a Napoli, da Napoli a Leone, a Leone
sua patria fu in non molti mesi guarito radicalmente di
tutti i suoi mali dal decano degli omeopatisti francesi,
il conte de Guidi.
Fece il proponimento di studiare la medicina e andò a Montpelleri,
dove conseguì legalmente il brevetto di dottore.
Ma nel tempo che studiava l'allopatia sotto i maestri, studiava
per sè medesimo la omiopatia. Recatosi a Palermo, si presentò
ai dottori allopatici che lo avevano dichiarato tisico,
e che vedendolo sano e salvo, non volevano credere agli
occhi loro: gl'infiammò la dottrina dell'Anemanno, e secondato
da molti, e aiutato dal suo danaro per le prime spese, vi
fondò un dispensatorio omiopatico.
Ritornò quindi in Francia, si presentò all'Anemanno in Parigi;
ed ivi pure fondò un dispensatorio omiopatico.
Più tardi recossi negli Stati Uniti, e di là passò al Brasile,
e in Rio di Janeiro, dove tuttora vive lo zelantissimo propagatore
della dottrina dell'Anemanno, fece tutte le operazioni delle
quali altrove è discorso.
Il maresciallo Carafa può superbire di aver salvato la vita
a questo caldissimo apostolo della omiopatia.
Ibidem, 1845
Il feld-maresciallo conte Radetski, generalissimo delle
milizie austriache in Lombardia, aveva un fungo all'occhio,
malattia dichiarata mortale da due medici allopatici consulenti.
Fu risanato felicemente da bravo dottor Hartung.
Di questa prodigiosa cura la fama si è sparsa per mezza
Europa.
Il dottor Grenier ne fa la narrazione nella sua operette
intitolata "Un omeopathe à Rome", Rome 1844, e la ricava
dalla Revue Rètrospect. de Roth. spect. 1841.
Il dottor Hartung risanò in pochi mesi il feld-maresciallo
conte Redetski con la tintura madre di tuja, e col carbone
animale della trentesima dinamizzazione.
...restringendo il fin qui detto, ripetendo conchiudere che
nel vecchio mondo dal settentrione al mezzodì, dal ponente
al levante, non vi sia contrada ove non pratichisi la omiopatia.
Ed invero il dottor Peschier ha fatto invii di libri e di
rimedi omiopatici nel Caucaso, in Persia, nel Bengala, in
Egitto, nella Algeria, etc.
Gli Americani, che prestamente adottano, ingrandiscono,
perfezionano tutte le nuove ed utili cose, che si ritrovano
o si introducono nell'Inghilterra, gli Americani adottarono
subitamente la omiopatioa introdotta in Londra dal Belluomini,
che aveala appresa in Napoli.
Chi ridirà i tanti omiopatisti americani?
La sola Filadelfia ne ha venti.
Io mi piaccio di ricordare (...) il dottor Hering tedesco,
il quale sperimentendo sopra persone sane la lachesis, seprente
americano, aggiunse alla farmacia omiopatica uno dei più
valorosi salutari medicamenti.
Una pagina di Omeopatia
Il Surukuku, che in latino prende il nome da una delle Parche
(Lachesis muta), è il più imponente dei crotalidi ed il
serpente più velenoso dell'America tropicale (in assoluto
il secondo dopo il cobra, ma enormemente più grande di questi).
Lungo sino a tre metri e mezzo, ha grandi chiazze scure
a losanga sul dorso ed incisivi di 2 centimetri, gli indigeni
lo chiamano "il terrore della foresta".
"La prima triturazione e la prima diluzione in alcol
del veleno di serpente Trigonocephalus lachesis venne preparata
da Hering il 28 luglio 1828".
Così scrive lo stesso Hering nel suo Guiding Symptoms, ove
l'elenco dei sintomi di Lachesis occupa quasi cento pagine.
Il capitolo comprende una speciale monografia per celebrare
il cinquantesimo anniversario dell'introduzione del rimedio
nella materia medica, alla cui redazione l'Autore lavorò
sino al momento della morte.
Quel 28 luglio 1828, evidentemente, Hering non se lo dimenticò
mai più.
Era allora con la moglie in Amazzonia, a svolgere studi
di botanica e zoologia per il governo tedesco.
Viveva fra gli indigeni e tanto sentì parlare di questo
serpente, il terribile Surukuku, che offrì una buona ricompensa
per un esemplare vivo.
Così, quel giorno, gliene portarono uno, chiuso in una grossa
cesta di bambù, e quelli che glielo portarono deposero la
gabbia e scapparono subito via insieme a tutti gli altri
nativi presenti.
Hering non ci stette a pensare molto, aprì la cesta, stordì
il serpente con un colpo in testa, lo bloccò con un bastoncino
a forchetta e spremette il veleno direttamente nel contenitore
del lattosio.
Fece la triturazione, poi la prima diluizione in alcool.
Poi più niente.
Fu preso da una febbre violenta con delirio continuo, sotto
gli occhi impotenti della moglie.
Andò avanti così il rimanente della giornata e tutta la
notte, soltanto nella mattina riuscì a prendere sonno.
Al risveglio si alzò più lucido, bevve un sorso d'acqua
per bagnarsi la gola, guardò la compagna e le sue prime
parole furono: «Tu ti ricordi cosa ho fatto e cosa ho detto
?».
La moglie, evidentemente, ricordava benissimo.
In tal modo vennero annotati i sintomi della prima sperimentazione
volontaria degli effetti di Lachesis sull'uomo. Avvenuta
per semplice contatto inalatorio col veleno.
I nativi tornarono a uno a uno il giorno dopo, e furono
stupiti di trovare il medico e la moglie ancora vivi.
Inutile dire che tutte le successive sperimentazioni di
Lachesis furono eseguite con diluizioni alla 30 CH o superiori.
(da Clarke, "Dictionary of Pratical Materia Medica",
trad. it. Nuova Ipsa Editore, Palermo 1997)
In occasione del seminario "STUDI DI FARMACOGNOSIA OMEOPATICA",
Catania 24 febbraio 2001, primo evento nazionale ECM di Medicina
Omeopatica / Omaggio della Società Italiana di Medicina
Omeopatica alla Accademia Omiopatica Siciliana,
di cui Constantin Hering fu membro, dal 1844.
IL PALAZZO DEI PRINCIPI DI SAN LORENZO IN VIA DEL BOSCO
Sopralluogo del 2002
Nel 1600, il taglio della Via Macqueda, divise questa vecchia
strada in pendenza in due parti. Quella che scende verso il
mare si chiama (guarda caso) via Divisi.
L'altra, invece, che sale per duecento passi precisi sino
alla spianata del Carmine, si chiama Via del Bosco.
Anche questo nome è per caso, perchè non c'è
l'ombra di un bosco, anzi nemmeno di un albero, solo balconi
murati del 700, e catoi dentro i palazzi spagnoli. Il catoio
più grande, dentro il palazzo che fu dei principi di
San Lorenzo.
Il signor Napoli ha un magazzino di olio nell'atrio centrale.
Ci saranno almeno altri venti gli alloggi lì dentro,
ai limiti persino delle norme tribali di abitabilità:
grovigli di fili elettrici e pareti che non si puliscono dall'epoca
garibaldina.
Ci abitano sopratutto immigrati. All'imbrunire si possono
vedere sciamare insieme bambini africani, asiatici e palermitani.
Nella fatidica estate del 1860 –la lapide ricorda- il principe
lo concesse alle truppe dei liberatori per farci l'ospedale.
Ovvero Garibaldi se lo prese, come solito suo, perchè
non credo che il principe avesse tutto questo piacere di farsi
devastare il palazzo.
Una mezza scusa potè essere che lì c'era già
un ambulatorio per indigenti con l'annesso dispensatorio.
Il tutto rigorosamente omeopatico, anzi, qui c'era la sede
stessa dell'Accademia Omiopatica.
Questa Nuova Medicina era difesa ufficialmente dalla corte
Borbonica, che aveva voluto addirittura una Accademia Omiopatica,
come se l'università della vecchia Medicina non bastasse.
Forse, pertanto, qualcuno consigliò che il palazzo del principe
di San Lorenzo era proprio il posto giusto per farci l'ospedale
delle truppe. Non so se mi spiego.
L'omeopatia non c'entra niente con la politica, è
sempre stata una medicina trasversale, durante il Risorgimento
italiano ha curato Radetsky e i socialisti anarchici. Gandhi,
in India, la sostenne apertamente, anche se era arrivata con
gli inglesi.
Ma qui non c'era Gandhi, c'era Garibaldi.
E prima di quel maggio del 1860, a Palermo c'erano due giornali
omeopatici, dico due, l'Accademia più importante d'Europa,
e forse il posto del mondo ove l'omeopatia era più
praticata.
Qualche anno dopo non ci fu più niente.
Via del Bosco è triste in ogni suo singolo metro, da via
Macqueda sino alla piazzuola del palazzo di San Lorenzo.
Lapidi di indulgenze davanti a madonne stinte sui muri e,
in cima, l'oratorio diroccato di San Nicolò dei Tolentini,
la più emblematica discarica cittadina di spazzatura del
dopoguerra. Dall'altra parte della piazzuola comincia il
mercato di Ballarò, dove nacque Cagliostro.